La lezione di psicoanalisi di Liliana Segre: la marcia per la vita

30 Gennaio 2020

Il 29 gennaio 2020 la senatrice a vita Liliana Segre è stata invitata al Parlamento Europeo in occasione del Giorno della Memoria. Nel suo discorso ha citato Primo Levi, che descrive ne “La tregua” l’apertura delle porte del campo di sterminio di Auschwitz – Birkenau da parte dell’Armata Rossa e “lo stupore per il male altrui, che nessuno che è stato prigioniero ad Auschwitz potrà mai dimenticare”. Il 27 gennaio non è stato però il giorno della sua liberazione, Liliana Segre era ormai operaia schiava in una fabbrica di munizioni e quando ai tedeschi era giunta l’eco dell’arrivo dei russi, è iniziata quella che è stata definita “La marcia della morte”: più di cinquantamila prigionieri obbligati a camminare in fila, senza sosta, in condizioni fisiche e psichiche devastanti. Non ci si poteva appoggiare a chi stava davanti perché non avrebbe retto il peso, ci si trascinava, un passo dopo l’altro, e chi cadeva a terra sfinito veniva ucciso.
La Segre allora si chiede: “Come si fa in quelle condizioni? La forza della vita è straordinaria!” Dopo aver visto le più atroci torture, aver perso, a soli tredici anni, l’intera famiglia ed essersi ritrovata da sola a marciare senza forza, al gelo e con le piaghe ai piedi, per terre sconosciute senza ricevere l’aiuto di nessuno, Liliana Segre ne fa un inno alla vita, al desiderio di vivere che è ciò che fa andare avanti ogni soggetto nelle difficoltà della quotidianità e che in questo caso, portato all’estremo, è la testimonianza vivente di ciò che Lacan affermava parlando del desiderio e ancora prima Freud con il termine Wunsch, che il padre della psicoanalisi ha scoperto tramite lo studio di sogni, motti di spirito e lapsus: qualcosa che è stato rimosso e si manifesta nelle bizzarre produzioni dell’inconscio.
Quella che è stata definita come “marcia della morte” per Liliana Segre è stata “marcia per la vita” ed è questa forza, dice, che “bisogna trasmettere ai giovani di oggi, mortificati dalla mancanza di lavoro, mortificati dai vizi che ricevono dai loro genitori molli per cui tutto è concesso, perché la vita non è così, la vita poi ti prepara a questa marcia che deve diventare marcia per la vita, ma noi non volevamo morire, noi eravamo pazzamente attaccati alla vita, qualunque fosse”.
Una grande lezione di vita e di psicoanalisi, per ciò che si trasmette da una generazione all’altra, per l’importanza per ogni genitore di rappresentare un porto sicuro senza essere molli, stabilire i confini e farli rispettare ai propri figli, perché le regole aiutano i bambini prima e i ragazzi poi a trovare le loro sicurezze attraverso il costituirsi come soggetti desideranti e capaci di amare, appassionarsi e pensare con la propria testa. Saper distinguere e differenziarsi dal male altrui, quello dell’indifferenza di chi ha fatto finta di non vedere, dell’antisemitismo e del razzismo insiti nell’animo dei poveri di spirito che si voltano ancora oggi dall’altra parte e fanno finta di niente, per valorizzare invece il coraggio dei giusti che si sono ribellati e si sono potuti opporre a quello che stava accadendo.
Nonna Liliana, così come si definisce quando va a parlare davanti a migliaia di ragazzi nelle scuole, al suo novantesimo anno di età parla di sesso, seno, mestruazioni davanti all’Europa intera che ancora arrossisce a sentire nominare queste parole. Una ragazza di tredici anni diventata donna troppo presto perché strappata all’infanzia ma che non può certo sentirsi tale poiché la dignità di donna le era stata rubata proprio per il fatto di non avere più sesso, età, seno, mestruazioni né mutande. Ma nonostante ciò, c’era qualcosa dentro di lei che diceva “Avanti! Avanti! Avanti!” come a voler recuperare, raggiungere, impossessarsi quanto prima di quello che le era stato tolto “…per cui, una gamba davanti all’altra.”
In una Babele di lingue, in cui ognuno parlava una lingua diversa e non ce n’era una comune, ma in cui si imparavano le parole chiave per sopravvivere pronunciando suoni sconosciuti fino a qualche anno prima. Una parola comune per potersi rivolgere all’altro e uscire dall’individualismo e dalla solitudine in cui si era costretti a vivere. “Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno” affermava Lacan, lo psicoanalista francese che definiva l’inconscio il luogo dell’Altro. Freud già nel 1905 nei “Tre saggi sulla sessualità infantile” introduceva il termine “Trieb”, pulsione, per sottolinearne il carattere di spinta e distinguendo gli esseri umani dagli animali, che invece erano governati dall’”Intinkt”, istinto, che si riconduceva alle leggi della natura. Ad Auschwitz si poteva parlare di Trieb?
Lacan definisce gli esseri umani “Parlesseri” in quanto esistono per il fatto che parlano, da qui, tra le altre cose, il non avere ad Auschwitz la possibilità di parlare a un altro che lo intendesse si dimostra devastante. Ma ancora una volta Liliana, la bambina diventata invisibile, oggi nonna, ci insegna quanto la forza della vita sia strepitosa e come, anche nelle condizioni più difficili, ci si sforza per trovare qualcosa a cui attaccarsi per uscire da quell’isolamento ancestrale, il desiderio di trovare una parola comune con le compagne olandesi, francesi, polacche…la parola “pane” in ungherese “che significa fame, ma anche sacralità di ciò che invece oggi viene sprecato”.
“I ricordi di quella ragazzina non mi danno pace, quella lì è un’altra da me, io sono la nonna di me stessa (…) è il mio dovere di testimone parlare, non posso che parlare di me e delle mie compagne. (…) Non lo posso più sopportare, sento che se non smetto di parlare, e se non mi ritiro in me stessa a ricordare da sola e a godere delle grandi gioie della mia famiglia ritrovata, non lo potrò più fare comunque, perché non ce la farò più”.
Conclude ricordando il disegno colorato di una bambina di Terezin: una farfalla gialla sopra i fili spinati. Augurando ai suoi futuri nipoti ideali di essere in grado di scegliere, di essere proprio come quella farfalla gialla che vola sopra i fili spinati.
Non cedere sul proprio desiderio” sembra ciò che anima Liliana Segre portando quindi avanti l’insegnamento di Lacan, citando la conclusione del Seminario VII “l’etica della psicoanalisi”.

È possibile vedere il discorso integrale a questo Link

Susanna Ascarelli, 30 Gennaio 2020